Datosi alla pittura da autodidatta, non fu per niente facile per Elio Romano accostarsi al mondo dell’arte; la famiglia, contraria alla sua naturale vocazione, lo voleva magistrato.
Solo in seguito acquisì i primi rudimenti del mestiere presso la bottega di Saro Spina, apprezzato colorista.
Nei primi ritratti del giovane Elio Romano si intravede la tendenza all’indagine psicologica che caratterizzava il tocco artistico del suo primo maestro, ma che non contengono di quella garbata ironia con cui Spina soleva descrivere le scene, ne sono caratterizzate da quell’usuale gusto grottescotipico dei suoi lavori.
Nelle sue composizioni iniziali Romano si rivela quasi con timidezza, come se entrasse nei territori della sua stessa creatività in punta di piedi, col pudore di chi viene ammesso in casa d’altri. Caratteristiche queste che si manifesteranno in seguito, allorché si ritroverà influenzato dal postimpressionismo francese, e dunque dall’uso del colore ben diverso dei toni del realismo estetico. Piuttosto si tratta di una ricerca di equilibrio interiore, di un’assorta contemplazione degli interni silenziosi, e di una la natura scorta da dietro una finestra.
L’esperienza romana gli offrì in seguito stimoli non trascurabili che lo guidarono verso una pittura non accademica ma libera dai canoni di una scuola artistica.
Maturata la sua vocazione, il nostro pittore fece proprie, personalizzole definitivamente, le novità che venivano dall’Espressionismo francese di Cézanne, unitamente agli insegnamenti fiorentini del pittore simbolista Felice Carena.
Allo scoppio della guerra Romano riparò in Sicilia, mantenendo saltuari contatti con l’ambiente fiorentino. I tre interessi tematici principali dagli anni quaranta in poi saranno la natura morta, il paesaggio e la figura disegnata.
La sua produzione delle nature morte consiste per lo più in mensole con vasi, brocche, oggetti semplici, questa si manifesta come fosse un’intima urgenza espressiva, una vicenda solitaria vissuta nella profondità silenziosa del suo atelier lontana dalle sollecitazioni del moderno.
Quella che instancabilmente Romano rappresenta nei paesaggi rurali non è la Sicilia lussureggiante della macchia mediterranea tipica dell’ambiente costiero, ma una Sicilia diversa, più aspra e ingenerosa, quella delle zone interne, dove predominano il bruno e l’ocra. Si tratta di una pittura attenta solo a se stessa, priva di ogni componente oleografica o di maniera, attraversata da una luce vibrante che fa perdere i contorni alle cose, cielo e terra sembrano fatti della stessa materia.
L’artista scelse liberamente di vivere isolato nella sua tenuta di famiglia, l’amata residenza di Morra, d’impianto ottocentesco, poi divenuta casa d’artista. Il primitivo paesaggio campestre che la circonda tuttora, diverrà la costante della sua pittura. Nell’intimità delle persone a lui più care e a contatto di quel paesaggio, testimone della fatica e del lavoro agreste, il suoi occhi, pur osservo sempre le stesse cose, vedono entità esistenziali sempre nuove, che diventano nei suoi quadri soggetti sempre diversificati.
Dipingere, dipingere e dipingere, questo e non altro la vita lo ha spinto a fare. Dipingerà perfino le pareti di casa, una casa solare con le porte e le finestre tinteggiate di giallo, con lo studio gre e luminoso, con nicchie entro cui trovano posto oggetti antichi, vasi, fiori, rami secchi, libri e fa da protagonista dell’arredo il lettino dove posano le modelle.
Spesso Romano realizzò degli affreschi con i quali decorò atri di prestigiosi istituti scolastici, chiese e uffici comunali del circondario ennese, testoli prima sulle pareti della propria casa, con tecnica conforme alla millenaria tradizione italiana.
Nella sua produzione artistica degli ultimi quindici anni, non compaiono più contadini e massari immersi nel paesaggio di Morra, sono invece sempre più presenti nudi e ritratti.
Si potrebbe ipotizzare che il cambiamento tematico e compositivo sia stato dovuto alle attese del pubblico catanese, che, non molto interessato alla cultura contadina e ai tratti distintivi della sua spiritualità, determinò un gre successo del pittore in ambiente prevalentemente borghese, quì si prestava una minore attenzione alle qualità artistiche rispetto a quella che potevano avere gli esperti d’arte o i collezionisti e il Romano alla richiesta di tipo commerciale si adeguò.
Ma il mutamento dei temi potrebbe trovare spiegazione anche nel suo estenuante impegno presso l’Accademia delle Belle Arti, dove i contenuti propri della didattica che in quegli anni venivano proprosti agli allievi nelle aule di pittura, erano quelli su cui si concentrava la sua attenzione e più frequentemente ripeteva nei suoi quadri.
In ogni caso la cifra personale emerge con estrema evidenza qualunque sia il soggetto delle sue tele.
Togliere più che aggiungere in eleganza come unica eleganza accettabile, dice lo stesso Romano del proprio impegno creativo e poi continua, ma queste cose posso dirle, a ripensarci, a freddo, dinnanzi al lavoro non ho nessuna sicurezza, ho ogni istante la stessa inquietudine ed emozione come se dipingessi il mio primo quadro, un senso totale di inadeguatezza. Per questo dipingo sempre le stesse cose e, in fondo, sempre lo stesso quadro anche se il soggetto è diverso. Come dire che i funambolismi o le eccessive narrazioni nelle opere artistiche non le rendono dei capolavori espressivi, ne determinano la grezza di un artista che invece si mostra a chi sa guardare con i suoi occhi quel che nei dipinti non c’è.