E’ stato Elio Romano a far conoscere fuori dai suoi ristretti confini l’ambiente campestre di Morra e non solo solo su tela il nostro pittore lo ha magistralmente rivelato.
Anche nel suo intimo romanzo Fanuzza, l’artista ha saputo con abilità tradurre in prosa una sorta di galleria di dipinti, una narrazione che ha come centro la sua dimora di Morra e il primitivo paesaggio rurale che lo circonda, rendendolo così comprensibile ai più.
Morra è attraversata da una via trimillenaria, un tempo costellata di santuari, una via sacra che i pellegrini della Rocca di Cerere percorrevano per raggiungere e venerare il Santo di Agira.
Le alture rocciose che la avvolgono sono a lungo battute dalla luce e coperte da cespugli, sottraggono alla vista l’acqua che in abbondanza e quasi nascosta, fuoriesce dai fianchi e alimenta e anima mulini e rigogliosi giardini.
Una terra che ha superato indenne i tempi dell’agricoltura estensiva e che si muove ancora secondo ritmi arcaici, un sito che non ha mai perduto quel senso di antico e che probabilmente nasconde tra i suoi orti e gli aranci, tracce del piccolo santuario delle stenie di Proserpina. Secondo la mitologia infatti Cerere attraverso questa contrada si spinse fino alle falde dell’Etna, regno degli inferi, in cerca della figlia splendida fanciulla rapita da Plutone.
Morra, dice Elio Romano, è un’oasi in un accavallarsi di colline monotone secondo la stagione, di liscia terra o di pesante verde, gemmante centro di un’isola anch’essa remota, rifugio che monti rocciosi difendono dai venti invernali. Una conca squallida e amorfa che tuttavia permette a chi vi si addentra di frugare nell’intimità e nella vanità della terra.